Bagagli di Vita: pensieri e parole di Cristiana Zavatta

Aver intitolato questo spettacolo “Bagagli di Vita”, significa anche non volersi sottrarre dal farci conoscere meglio. Per quanto mi riguarda, desidero soprattutto descrivere il mio attuale stato d’animo, con riferimento sia al passato che al futuro.

Chi mi conosce, dice che ho coraggio, ma io direi piuttosto reazione costruttiva che nasce dall’attaccamento alla vita e alla bellezza del mondo. Non c’è sfida, ma naturalezza nell’affrontare la quotidianità e quasi oserei dire, che anche la cura, se non prevede degenza o terapie pesanti, diventa un lavoro nel lavoro: lavoro necessario per svolgere bene tutte le altre attività.

La cura spesso non è solo sottoporsi a visite e assumere farmaci, ma anche ricercare e decidere insieme ai medici le applicazioni più giuste, provare farmaci nuovi, spostarsi dalla propria città, se necessario, per usufruire di mezzi moderni e protocolli d’avanguardia. Il coraggio e la sfida sono piuttosto qui, nel riuscire a ripianificarsi e conciliare l’eccezionalità del momento con la normalità della vita. Serve ai malati per restare nel reale e ai parenti, amici e a tutti i cari per tranquillizzarli e confermare rapporti alla pari.

Da una prova come la nostra, si esce cambiati, provati ma anche più forti, più saggi. Si matura una nuova filosofia di vita o almeno si precisa la propria identità di persona. Io sono sempre stata una persona serena, ora sono più serena; sono sempre stata una persona socievole, ora sono più socievole; sono sempre stata una persona dinamica, ora sono più dinamica; sono sempre stata una persona fiduciosa, ora sono più fiduciosa; sono sempre stata una persona vitale, ora sono più vitale! La vita si ri-imposta e tende all’essenziale nei rapporti e nei valori.

La diversità può essere anche un punto di forza: riuscire a dare un senso speciale alla propria condizione è importante. Io personalmente mi sento di dover essere utile a chi si trova nel dramma di una inaspettata triste diagnosi o smarrito di fronte al dolore e alla paura. Cerco cioè di qualificare in modo altruistico ogni mio intervento sociale, a partire dal mio lavoro che mi mette in relazione con il mondo e mi consente di trasmettere positività attraverso un buon servizio.

Nel rispetto di ogni persona, vorrei poter accompagnare il malato a rielaborare il proprio caso e a reagire alla malattia con fiducia, sapendo di poter contare sulla solidarietà di altri che, come lui, contano nella società anche come esempio. Con questo spirito, nel 2011 è nato Il Punto Rosa, la nostra associazione a sostegno delle donne operate di carcinoma mammario che, in pochi anni, è cresciuta nel numero delle iscritte e delle iniziative. Io ne sono co-fondatrice e ci credo molto perché la condivisione del problema è già una prima soluzione. Finora è stato questo il mio spazio d’azione e canale d’informazione.

Insieme alle amiche del Punto Rosa abbiamo un’opportunità in più, affinché la diversità sia riconosciuta, rispettata e oggi ascoltata. È un progresso culturale quello di credere e valorizzare la diversità anche nel proprio ambito sociale e lavorativo: significa trovare nuove risorse e speranze nelle persone che dalla sofferenza escono con il sorriso.

Il consorzio dell’altruismo

Se rechiamo il nostro contributo alla solidarietà, noi arricchiamo l’universo di qualcosa che vale molto, molto più del denaro.

Un gesto premuroso, affettuoso, una parola di sostegno possono esercitare un effetto decisamente superiore a quanto ci sia dato di comprendere: si tratta talora di aprire una breccia in un cuore solitario, talora di recare incoraggiamento e speranza a una mente smarrita.

La storia della solidarietà universale è scritta riga per riga grazie ad azioni molto semplici compiute da persone di buon cuore a beneficio di altre che si trovano in difficoltà. Se sappiamo supportare veramente, noi entriamo a far parte di un consorzio umano che basa la sua forza sui buoni sentimenti e si esprime attraverso l’altruistica dedizione agli altri.

Quando operiamo nell’ambito di questa unione particolare, la nostra vita accresce costantemente il suo valore e la solitudine ne viene totalmente elusa.

Nessuno è mai stato tenuto a piangere o a soffrire in solitudine. Eppure molti fra noi sarebbero disposti a patire in silenzio pur di non chiedere un aiuto di cui, peraltro, hanno urgente necessità. Tendiamo a ritenere che gli altri siano perfettamente consapevoli delle nostre pene, anche se non ne parliamo affatto.

È dalla forza emotiva, non dalla debolezza, che noi sappiamo trarre la capacità di invocare aiuto. Il timore del rifiuto, o del ridicolo, o di qualunque altro impulso ci spinge a nascondere le nostre sofferenze, deve essere sconfitto a ogni costo. Diversamente, non otterremo mai il supporto morale che ci occorre.

Naturalmente, nell’atto di sollecitare aiuto, noi esprimiamo il nostro apprezzamento nei confronti di un’altra persona. Implicitamente le facciamo capire che nutriamo fiducia in lei, che la reputiamo in grado di aiutarci in un momento di grande vulnerabilità. Non le chiediamo soluzioni. Vogliamo solo che sia presente, che ci accordi un sostegno temporaneo in attesa di trovare le nostre vie personali di superamento.

Un sano “HO BISOGNO DI TE” è un’espressione importante d’amore. (Torri W)